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2. VANGELI. La croce: trono di gloria.

Ascolto e meditazione del racconto della passione, morte e risurrezione di Gesù

secondo Giovanni (18-20) (p. Gianmarco Paris)

Il quarto vangelo, come gli altri, racconta i fatti relativi alla morte di Gesù in croce. Ma, ancora più degli altri, ne indica il senso profondo e non immediatamente visibile. Per Giovanni la morte di Gesù rappresenta la sua ESALTAZIONE, è il momento in cui splende in pienezza la sua GLORIA. Gesù innalzato sulla croce rivela in pienezza la sua REGALITÀ. L’innalzamento fisico sulla croce è segno (paradossale) della sua dignità: come un re che regna sul suo popolo, trionfa sul potere del male e attira tutti a sé, donando la vita di Dio. Notiamo due tratti importanti di Gesù. La coscienza che ha di se stesso: è consapevole di essere Figlio di Dio e obbedisce al Padre. La dignità e maestà del suo soffrire: affronta i nemici con decoro; la croce diventa un trono; è l’ora del Padre, della rivelazione, della luce, dell’amore.

Ecco la sequenza delle scene con cui Giovanni racconto la passione di Gesù, che rivela la sua identità e missione regale-divina

18,1-11 Introduzione: Automanifestazione di Gesù alle tenebre (sera, giardino)

18,12-27 l’interrogatorio davanti a Anna (sera-notte, palazzo di Caifa)

18,28-19,16 Il processo davanti a Pilato [7 scene] (alba, pretorio)

19,17-42 Crocifissione, morte, sepoltura [7 scene] (mattina-pomeriggio, Golgota)

                                   20 L’esperienza del Risorto:

                                   20,1-10: Maria e i discepoli al sepolcro (mattino di domenica, giardino);

                                   20,11-18: l’incontro di Gesù con Maria (mattino di domenica, giardino);

                                   20,19-29: l’incontro di Gesù con i discepoli (due sera di domenica);

20,30-31: prima conclusione del libro.

 

18,1-11: l’arresto di Gesù è in verità una “auto-consegna”, che mette in luce la sua piena coscienza degli eventi (18,4: sapendo). Gesti e parole manifestano maestà: “sono io” (Esodo). Il giardino oltre il fiume Cedron rinnova il giardino della Creazione e del Cantico, dove Gesù obbedisce al Padre per amore dell’umanità; in un giardino Gesù sarà sepolto e risorgerà.

18,12-27: la scena della requisitoria davanti alle autorità ebraiche è intrecciata con quella del rinnegamento da parte di Pietro. Al rivelarsi della luce di Gesù (ho sempre insegnato apertamente) si scatenano le tenebre, simboleggiate dallo schiaffo della guardia e dal rinnegamento di Pietro, che stride con la coraggiosa testimonianza di Gesù. Credere in Gesù significa testimoniarlo, anche a rischio della morte.

18,28-19,16 Il processo politico davanti a Pilato

18,28-32 (I): le autorità giudaiche e Pilato. Sono preoccupate di non contaminarsi, mentre cercano di far condannare Gesù, preferiscono la purezza legale alla giustizia. Alla domanda di Pilato circa l’accusa non rispondono ma dichiarano Gesù un malfattore e chiedono per lui la condanna alla morte di croce.

33-38a (II): Pilato e Gesù. Pilato interroga Gesù sulla sua regalità terrena. Gesù risponde chiedendo a Pilato (come fa un giudice) se vuole confrontarsi con lui come personalmente o con mediazioni. Lo porta al motivo della sua domanda, perché possa giudicare in libertà e serenità. Pilato non si lascia coinvolgere in prima persona, rimane un funzionario e chiede i fatti. Gesù, tornando al tema della regalità, dichiara di non essere un re terreno, ma di un regno diverso da quelli del mondo. Rinuncia alla forza, perché il suo regno si fonda su una logica diversa da quella del potere, viene dall’alto (Padre, Spirito). Pilato non capisce un re senza forza e potere. Gesù approfondisce: è re perché rende testimonianza alla verità, e per questo va incontro alla morte. È un re-pastore, la cui voce le sue pecore “ascoltano”, un re che dà la vita per le pecore. Gesù non mira a salvare la vita ma a portare Pilato a una decisione libera davanti alla verità. La risposta di Pilato è evasiva; una volta che ha verificato che Gesù non è pericoloso politicamente, resta indifferente alle sue sollecitazioni: a lui interessa conservare il potere, non è interessato al dono della vita che Gesù offre.

38b-40 (III): Barabba o Gesù? Invece di assolvere Gesù Pilato cerca una scappatoia, che metta in scacco i giudei e li faccia desistere dal loro obiettivo. Pilato da un passo verso l’abisso dell’ingiustizia: pur non trovando colpa in Gesù lo propone come oggetto di indulto (la cosa “giusta” sarebbe semplicemente liberarlo). 

19,1-3 (IV): Gesù e i soldati, flagellazione, corona e manto di porpora (centro delle sette scene). Pilato fa flagellare Gesù, per calmare i giudei e cercare di suscitare compassione nei suoi confronti. I soldati lo vestono da re: con una corona fatta di rovi un mantello di colore imperiale si prendono gioco del re, e senza saperlo dicono la verità. La passione rivela la regalità di Gesù, che si fonda sul dono totale di sé per obbedienza al Padre e per amore degli uomini.

19,4-8 (V): Pilato e le autorità giudaiche. Presentazione e acclamazione del re. Gli indumenti burlescamente regali di Gesù contrastano con l’acclamazione “crocifiggilo!”. Per la seconda volta Pilato riconosce Gesù innocente. “Ecco l’uomo”: Pilato vede in Gesù semplicemente un disprezzato dai suoi; l’evangelista con questa espressione indica il “figlio di Dio”: quell’uomo condannato è il giusto innocente, l’uomo vero agli occhi di Dio, il re-messia, il più bello tra i figli dell’uomo. Questo condannato è il re scelto da Dio per salvare il suo popolo, con una regalità non riconosciuta, che manifesta la vocazione regale di ogni uomo. Di nuovo chiedono la crocifissione; Pilato risponde con sarcasmo, affermando per la terza volta l’innocenza di Gesù. I giudei ritengono Gesù blasfemo, perché si è dichiarato figlio di Dio.

19,9-11 (VI): Pilato e Gesù. Pilato chiede l’origine di Gesù: la risposta sarebbe troppo complessa, e Gesù resta in silenzio. Pilato non è disposto a mettere in questione il proprio potere, al silenzio risponde con l’intimidazione, che diventa una autocondanna: ha il potere politico di condannare uno che ha dichiarato tre volte innocente; ma non ha il potere etico di farlo. Avrebbe piuttosto il dovere di liberarlo! Gesù lo sollecita a risalire ad un potere più alto e al quale ciascuno deve rispondere in coscienza. Gesù mentre è giudicato giudica gli attori di questo processo.

19,12-16 (VII): Pilato consegna Gesù: “ecco il vostro re”. Pilato, messo in discussione da Gesù, vorrebbe liberarlo (e liberarsi di lui) ma per non mettere in questione il suo potere accetta il ricatto della folla. V. 13: chi “siede” in tribunale è Pilato o Gesù? (ambiguità intenzionale). Pilato, detentore del più alto potere civile, intronizza Gesù come re davanti al popolo (sul golgota Pilato proclamerà in modo universale la sua regalità): con corona e mantello di porpora, su un luogo elevato, nell’ora della luce piena, Gesù è giudicato e al tempo stesso giudica. I capi del popolo gridano di toglierlo di mezzo (con questo giudizio giudicano se stessi, che riconoscono la regalità di Cesare e rinnegano quella di Dio). Ecco il senso del mistero pasquale: il re-messia, spoglio di potere e folgorante di amore, è esaltato; il mondo peccatore che lo mette a morte è condannato. Noi lettori, che accompagniamo la storia, siamo chiamati pure a prendere posizione davanti a Gesù.

19,17-37: Crocifissione e morte

19,17-18 (I): la croce. Gesù porta “per se stesso la croce”: quella croce ha un grande valore per lui, non è solo un supplizio, ma uno strumento privilegiato della sua opera di salvezza, come il suo trono. La porta come un re il suo scettro, come un trofeo di vittoria. La crocifissione è anche il suo innalzamento nella gloria. La croce è il trono di gloria; i due malfattori sono la sua corte paradossale.

19,19-22 (II): il cartiglio della condanna. Gv dà rilievo a questo particolare. Pilato vuole forse prendersi beffe dei giudei; senza saperlo, diventa interprete del significato teologico dell’evento: la regalità di Gesù. La tre lingue assicurano una rivelazione universale, per il mondo intero (religione, politica, cultura). Per i sacerdoti è un’offesa, ma Pilato non torna indietro. Questa proclamazione di regalità è indelebile, come le Scritture, che parlano del messia come di un re. La sua morte diventa “scrittura definitiva”.

19,23-24 (III): le vesti. Anche queste hanno un valore simbolico. Le quattro parti delle vesti indicano il valore universale del sacrificio di Gesù (come i punti cardinali), la cui regalità è partecipata all’umanità intera. La tunica unica indica che la morte di Gesù genera l’unità del popolo di Dio. Nella sua morte la Chiesa trova la forza per rimanere unita. La citazione del Sal 22,19 interpreta il fatto come compimento delle Scritture.

19,25-27 (IV): la maternità spirituale di Maria (centro delle sette scene). Le tre Marie e il discepolo sono l’Israele fedele a Gesù fino alla fine. Stanno, senza fare nulla. Maria è presentata nel suo ruolo in relazione a Gesù (il centro). Le parole di Gesù non indicano solo un gesto di pietà filiale (l’affidamento mutuo) ma confermano che Gesù ha compiuto la missione di prendersi cura dei suoi. La madre del re riceve come nuova famiglia il discepolo ideale, rappresentante di tutti. La sequela di Gesù non è individuale ma dentro la Comunità-Chiesa, simboleggiata da Maria. Accogliere Maria come Madre significa essere assimilati a Gesù, il Figlio. “Donna” rappresenta la nuova Eva, la nuova umanità, generata dalla morte di Cristo, la Chiesa che accoglie tutti i suoi figli.

19,28-30 (V): sete e compimento. Siamo al vertice del racconto. La richiesta di Gesù esprime la sua coscienza di compimento (si ripete tre volte questo termine): la sua morte compie le Scritture, la missione ricevuta dal Padre. La sete di Gesù non è solo fisica, ma interiore, esprime tutto l’anelito di tutta la sua vita (ricorda l’episodio della samaritana: Gesù ha fame e sete di compiere la volontà del Padre, la salvezza del mondo). I salmi 42 e 63 indicano il modo con cui Giovanni si avvicina alla passione e morte di Gesù. L’ultima parola di Gesù riflette la sua coscienza che la morte è il pieno compimento della sua opera: è un grido di trionfo. Nel morire rimette lo spirito al Padre. È lui stesso che dona la vita, nessuno glela toglie. Alla “consegna” del tradimento Gesù risponde con il dono dello Spirito, l’amore che lo lega al Padre e a tutti gli uomini. Lo Spirito che soffierà il Risorto sui discepoli, è già donato qui sulla croce.

19,31-37 (VI): il costato trafitto. Il colpo di grazia che accerta la morte produce simbolicamente un frutto di vita. Il discepolo che ha visto e testimonia sottolinea l’importanza dell’evento. La testimonianza del cristiano riguarda proprio il crocefisso morto (dell’atto della risurrezione non ci sono testimoni oculari). Sangue e acqua, oltre che particolare realistico, sono un simbolo (vita offerta e donata). Se accertano la morte, dicono però che da essa sgorga la vita, a compimento della Scrittura. Indicano i sacramenti che fanno la chiesa. Il crocefisso è l’agnello, al quale non vengono spezzate le ossa. Il crocefisso-trafitto è come il serpente guardando il quale si è salvi.

19,38-42 (VII): sepoltura onorata, nel giardino. La sepoltura conferma la morte. Giuseppe e Nicodemo compiono un gesto di pietà per una persona amica e stimata, ma Gv fa percepire un significato più profondo. Tutto indica la grande qualità di questa sepoltura: profumi abbondanti (30Kg) e pregiati, che preparano il corpo dello Sposo per le nozze (sono i profumi del sal 45 e Cantico 4,6 e 5,1.13); tessuti (un tipo di lino usato per le lenzuola del letto nuziale). Gv descrive la sepoltura come la sera delle nozze, quando il re si unisce alla sua sposa nel talamo nuziale. Nella morte Dio in Gesù si unisce all’umanità fino al punto più alto, la discesa nel mondo della morte. La tomba è il talamo della consumazione dell’amore tra Dio e l’umanità, la sala dove il Signore manifesta la sua piena regalità, rappresenta la misura del suo indefettibile e vittorioso amore divino per noi.

20,1-29 L’esperienza del Risorto

Non si descrive il momento e il modo della risurrezione. Il Risorto si manifesta corporalmente, per gradi: prima con i segni dell’assenza (sepolcro vuoto, lenzuola, sudario, messaggio di messaggeri); poi in figura e voce irriconoscibili; poi con la figura e la voce di sempre, e i segni della passione: il Gesù vivo è lo stesso che ha sofferto la morte. Osserviamo anche un progresso nella fede. Prima il discepolo prediletto (ideale), poi Maria per la vista, l’udito e il tatto; poi il gruppo dei discepoli, infine il ritardatario e resistente. Le manifestazioni sono accompagnate da doni e incarichi: a Maria, annunciare il risorto agli altri; ai discepoli lo Spirito, la pace e la missione; a Tommaso la beatitudine della fede.

20,1-10 Maria ha atteso con ansia il tempo di andare al sepolcro; è ancora chiusa nel suo mondo oscuro della morte. Avendo visto la pietra rimossa va ad annunciare ai discepoli che il sepolcro è vuoto. Pietro e l’altro discepolo corrono: Pietro è il capo, ma l’altro è il prediletto. Spinto dall’amore corre più in fretta e per primo crede. Il sepolcro vuoto è segno, non prova; le lenzuola separate escludono però un furto.

20,11-18 Tornati i due discepoli, Maria resta sola al sepolcro. Vede due testimoni celesti, che custodiscono il luogo, non il corpo. Maria cerca il “suo signore” (la persona importante per lei), pensa che i messaggeri abbiano informazioni. Vede Gesù senza riconoscerlo, perché appartiene a una condizione corporea nuova. Gesù chiede; lei risponde con il pensiero al passato. Quando la chiama per nome lei riconosce il maestro. Maria lo abbraccia e lo trattiene; Gesù spiega che deve salire al Padre, e le dà il compito di annunciarlo ai discepoli, che ora chiama “fratelli”: con la glorificazione di Gesù, il “suo Padre” è divenuto “loro Padre”, il “suo Dio”, “loro Dio”. Maria è la prima che annuncia il vangelo della risurrezione. Il racconto riprende con libertà la scena della ricerca e dell’incontro tra la sposa e lo sposo nel Cantico dei Cantici (3,1-4; 5,2-8). Impazienza dell’amore, alzarsi, ricerca vana, dialogo con le guardie (gli angeli), incontro, abbraccio, lasciarlo andare alla casa della madre (del Padre). La scena si svolge in un giardino, il “primo giorno”: è l’inizio di una nuova era, dell’umanità nuova.

20,19-23 Per paura i discepoli sono chiusi; per quello che è accaduto sono abbattuti. Il Risorto attraversa le barriere esterne e interne. Con il saluto di pace (che compie la promessa fatta nell’ultima cena, 14,27-28) vince la paura e fa nascere la gioia (16,21-22); con la sua presenza corporea vince la delusione. Il soffio ricorda la creazione dell’uomo (Gn 2,7) e la resurrezione dei morti (Ex 37). È la creazione dell’uomo nuovo, dotato del soffio dello Spirito, grazie alla resurrezione di Gesù. Invia i discepoli in missione, che ha la sua fonte e modello nella missione del Padre per Gesù e come garanzia lo Spirito Santo. 

20,24-29 l’ultimo racconto è attratto dalla professione di fede di Tommaso e dalla dichiarazione finale di Gesù. Tommaso rappresenta un aspetto importante del cammino di fede: è l’incredulo che chiede prove tangibili e per la sua insistenza diventa un testimone eccezionale. Serve come avviso per coloro che in futuro crederanno per la testimonianza dei testimoni oculari. Tommaso vuole verificare se il Risorto è l’uomo che è stato crocifisso. Gesù si presenta come la prima volta, in mezzo al gruppo. Accetta di sottomettersi alla prova richiesta da Tommaso; a lui basta vederlo per fare una professione di fede piena. Gesù con le sue ultime parole guarda al futuro e dichiara felici coloro che crederanno per la testimonianza dei primi discepoli. 

Per la riflessione e la preghiera

Gesù rivela la gloria del Padre nel momento più buio della sua vita. Nei momenti bui della mia vita riesco a percepire la presenza di Dio?

La regalità di Gesù si rivela in segni opposti a quelli che ci aspetteremmo: non il potere, la forza, l’onore, ma la debolezza, la sofferenza, l’abbandono. In quali situazioni di vita mia sento forte come un re? 

Gesù si sente profondamente amato dal Padre e accetta di perdere tutto, per fare ciò che piace all’amato. Nel progettare la mia vita, mi sento amato da Dio? Mi chiedo qual è la sua volontà per me?

Preghiamo

Dio onnipotente ed eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio,

nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce,

fa’ che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua passione,

per partecipare alla gloria della risurrezione.

Autore

  • p. Gianmarco Paris

Data

  • 30/03/2024

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