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205. FORMAZIONE. Intelligenza artificiale e scuola?

205. FORMAZIONE. Intelligenza artificiale e scuola?

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Si sta diffondendo e implementando l’AI – Intelligenza artificiale. Essa sta avendo e avrà sempre più influenze significative sul nostro modo di far scuola e aprirà molte domande: avrà ancora senso la lezione frontale, già oggi difficile da digerire per molti nostri alunni, quando in rete i ragazzi potranno farsi costruire lezioni personalizzate? Quale importanza acquisirà l’esposizione orale in aula rispetto a uno scritto a casa di dubbia provenienza? Come dovrà necessariamente cambiare la struttura dei compiti a casa?

Per rispondere a queste domande la prof. Luciana Ferraboschi, Dirigente scolastica ci accompagna con questo articolo con il quale vorremmo aprire un DIBATTITO con tutti coloro che hanno a cuore la Scuola e l’Educazione e prepararci a un prossimo SEMINARIO di STUDIO per elaborare LINEE di ORIENTAMENTO, nella prospettiva dell’integrazione e non della negazione.

 

Molti in questi ultimi tempi stanno parlando dell’intelligenza artificiale grazie alla diffusione della ChatGPT, un recente ritrovato digitale paragonabile a una specie di robot con il quale è possibile conversare in rete o porre una serie domande cui GPT risponde in modo immediato. Sia che si tratti di risolvere una Prova Invalsi o di realizzare la parafrasi di un testo letterario, ChatGPT, esegue il compito con velocità e sicurezza utilizzando un linguaggio accettabile e di buon livello. Fornisce indicazioni o suggerimenti sulle questioni richieste avvertendo pure che, sul piano delle opinioni, non è poi così sicuro delle risposte; in questo caso invita l’interlocutore a controllare meglio.

A volte sbaglia, soprattutto quando tenta di interpretare ma, se glielo si fa presente, accetta di correggersi o rinvia a ulteriori approfondimenti.

Ci domandiamo: è davvero un’intelligenza?

Intanto si tratta di un chatbot artificiale che, a detta degli esperti, elabora le informazioni come un soggetto di competenza media ma sicuramente sta imparando e, come dice Federico Rampini che ha voluto misurarsi con GPT (“La Repubblica” 11/02/2023), “è un prototipo ancora giovanissimo che si evolve a gran velocità. Letteralmente impara.” Via via che impara prova ad elaborare soluzioni ad un livello sempre più elevato integrando le informazioni già possedute con quelle che ogni giorno acquisisce; non si sa a quale performance potrà arrivare ma, già da ora esegue il tutto ad una velocità che nessuno di noi “umani” è in grado di sostenere.

Visto che sembra inglobare tutto a ritmi vertiginosi, viene spontanea una domanda: ma allora si tratta davvero di uno strumento intelligente capace di tener conto anche dei sentimenti delle persone o è uno strumento che si limita ad agire all’interno di confini ben delimitati anche quando fornisce risposte corrette?

In realtà quando si parla di intelligenza oggi non si può ignorare il concetto di “cognizione incarnata” (Gomez Paloma, Damiani, 2015) intendendo l'intelligenza come un sistema complesso risultante dal rapporto tra mente, corpo, ambiente, artefatti e strumenti culturali e tecnologici. Come suggerisce Benasayag (2022) il nostro pensiero non sta necessariamente e solo nella nostra mente ma si trova distribuito nel nostro corpo, nel contesto sociale e culturale in cui viviamo, nel dialogo e nell’interscambio con le persone così come nella nostra storia. Sono le esperienze, cognitive, sensomotorie ma anche quelle emotive che scolpiscono il nostro cervello e producono i nostri pensieri anzi, queste esperienze lasciano in noi delle tracce che sono in grado, anche a distanza di tempo, di influenzare le nostre scelte (Damasio, 1994)

Come sottolinea Daniela Lucangeli (2021) quando parla di “warm cognition”, siccome ad ogni attività cognitiva corrisponde anche un tracciato emozionale, “il nostro cervello, mentre pensa, sente anche”.

 

Potrebbe farlo un prototipo digitale?

Noi pensiamo che, siccome un chatbot, per quanto efficiente, non può riuscire anche a provare sentimenti né a decodificare le emozioni che le persone possono sentire, già questo esclude da parte sua l’accesso all’uso di una reale intelligenza.

Inoltre noi umani abbiamo anche una dimensione in più di conoscenza: la metacognizione che può essere definita come “l’insieme di idee sviluppate da ciascun individuo sul funzionamento della mente in generale e in particolare della propria” (Cornoldi 1995). La metacognizione è la consapevolezza d’uso delle nostre attività cognitive ed è la garanzia, per ciascuno di noi in relazione al livello di percezione che ognuno ha di se stesso, di un processo consapevole per “imparare a imparare” in funzione cognitiva ma anche in funzione della promozione del nostro benessere personale e sociale (Consiglio Europeo, 2018) .

Secondo me allora va fatta una distinzione precisa tra l’“essere intelligenti” e l’”agire come se si trattasse di atti di intelligenza”.

La distinzione è determinante; infatti ChatGPT può agire solo “come se”: recupera informazioni ed elabora risposte in relazione ai saperi che ha a disposizione ma non può andare oltre; potrà calcolare esattamente algoritmi elaboratissimi limitandosi ad applicare delle formule anche molto complicate ma non potrà mai esprimere giudizi personali sui fatti; tuttalpiù potrà limitarsi a riferire sugli argomenti le opinioni già espresse da altri.

Tutto questo, che è abbastanza ovvio, non esclude però alcuni rischi soprattutto per le persone che, non facendo le dovute distinzioni, attribuiscono valore di verità a ciò che l’Intelligenza Artificiale produce in risposta alle domande. Penso agli studenti, ad esempio che sicuramente potrebbero pensare di utilizzare il chatbot per trovare facili e veloci risposte ai quesiti che loro stessi dovrebbero autonomamente elaborare ma penso anche alla confusione che si potrebbe determinare se si continuasse a produrre elaborati che non si sa più se sono autentici o rimaneggiati per sembrare tali, a fornire informazioni che non si sa più se sono certe o solo probabili ,  a passarsi come interpretazioni autentiche riflessioni appositamente riadattate per sembrare vere.

Qualcuno ha provato a chiedere all’I.A. di scrivere testi diversi su uno stesso argomento (un riassunto di uno stesso libro o la parafrasi di una poesia) e la Chat ha prodotto testi tutti diversi e tutti molto credibili. Problema: come riuscire a distinguerli dai testi pensati ed eseguiti dagli alunni della nostra classe?

Io credo però che, come tutte le tecnologie, anche questo nuova Chat vada comunque presa in considerazione, anche solo per capire come funziona e come essere in grado di gestirla arginandone i rischi e le deviazioni possibili. Anziché vederla semplicemente come una minaccia potremmo cominciare a discutere su come “sfruttarla“ per degli obiettivi da noi stessi individuati. Sappiamo bene che limitarsi a censurare gli strumenti tecnologici non fa che aumentarne l’attrazione d’uso.

Pur continuando a guardare con cautela a ciò che viene dal mondo digitale, la tecnologia non può che essere intesa come un supporto all’apprendimento e insegnare a controllarne l’uso è sicuramente un esercizio di promozione della cittadinanza. Si tratta di capire non tanto come addomesticarla ma come governarla per metterla al nostro servizio in operazioni che possiamo affidarle proprio perché ci semplificano il lavoro o ci rendono più facilmente accessibili informazioni e dati necessari per risolvere problemi.

Sono anche convinta però che la diffusione di questa chat, che in molte scuole americane è già stata bandita, avrà influenze significative sul nostro modo di far scuola e aprirà molte domande: avrà ancora senso la lezione frontale, già oggi difficile da digerire per molti nostri alunni, quando in rete i ragazzi potranno farsi costruire lezioni personalizzate? Quale importanza acquisirà l’esposizione orale in aula rispetto a uno scritto a casa di dubbia provenienza? Come dovrà necessariamente cambiare la struttura dei compiti a casa?

Per rispondere a tutte queste domande vorremmo riuscire a organizzare momenti articolati di riflessione condivisa con tutti gli insegnanti ma già da oggi cominciamo a porci il problema anche per non trovarci spiazzati dalle sfide della tecnologia che comunque continuerà ad avanzare.

 

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

Benasayag M.,  2022, “Il cervello aumentato, l’uomo diminuito”, Il Margine, Trento

Cornoldi C., 1995, “Metacognizione e apprendimento”, Il Mulino

Damasio A.R.,1994, “L’errore di Cartesio”, Adelphi

Gomez Paloma F. , Damiani P., 2015, “Cognizione corporea, competenze integrate e formazione dei docenti. I tre volti dell’Embodied cognitive science per una scuola inclusiva”, Erickson

Lucangeli D., 2021, “La mente che sente. A tu per tu: dialogando in vicinanza, nonostante tutto”, Erickson

Raccomandazione del Consiglio Europeo del 22 maggio 2018 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente.

 

Foto di Gerd Altmann da Pixabay 

Client

Luciana Ferraboschi, Dirigente scolastica Scuole Sacra Famiglia

Date

04 Marzo 2023

Tags

Educare

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