Newsletter della scuola e dell'educazione

221. FORMAZIONE DIDATTICA. Come aiutare a crescere “uomini veri”?

221. FORMAZIONE DIDATTICA. Come aiutare a crescere “uomini veri”?

previous, Back, prev, Backward, Blue, Dynamic, Left, Arrow icon

 

 

Nell’ambito di un progetto sul contrasto al bullismo e al cyberbullismo organizzato in rete con l’Amministrazione comunale e le istituzioni educative del territorio, venerdì scorso, in una delle nostre scuole Sacra Famiglia e precisamente a Orzinuovi, è stato aperto un momento di riflessione sulle modalità per “Crescere Buoni cittadini“. A condurre la discussione era stato invitato il prof Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva e autore di molti libri sul tema dell’educazione digitale, al quale è stato chiesto di suggerire a noi adulti, operatori della scuola e genitori, le parole per dire e le azioni da fare per mettere i nostri figli ed alunni nella condizione di diventare “uomini veri”. L’ultimo libro del Prof Pellai, che nel titolo recita “Ragazzo mio. Lettera agli uomini veri di domani”, l’autore invita a partire non solo dalle sollecitazioni da fornire ai ragazzi quanto dagli impegni che devono assumere gli adulti di oggi per aiutare i propri figli ed alunni a “trovare il desiderio e la bellezza “per il loro futuro.

In un recente articolo apparso su “Famiglia Cristiana“ di alcune settimane fa, a proposito di quelle due ragazzine dodicenni che hanno accoltellato una loro coetanea per futili motivi, è stato proprio il prof Pellai a individuare che tutto questo spesso accade in una situazione in cui emergono molti vuoti: “Un vuoto etico, per cui non ti poni la domanda relativa a cosa è bene e cosa è male. Un vuoto empatico, per cui non ti preoccupi minimamente di prevedere quanta sofferenza può causare nell’altro il tuo desiderio di fargli male ... Un vuoto di civiltà, per cui non senti la responsabilità di ciò che agisci e quindi non prevedi le implicazioni e le conseguenze che il tuo gesto può avere per l’altro e anche per te stesso....”

Anche a noi operatori della scuola capita spesso di intercettare negli sguardi di alcuni ragazzi un vuoto che ci disorienta e che spesso facciamo fatica a interpretare; li vediamo spesso smarrirsi di fronte alle difficoltà che attribuiscono sempre a cause esterne a sé convinti che non valga la pena di mettersi in gioco per superarle; in classe li percepiamo demotivati mentre cerchiamo di accendere in loro il desiderio di apprendere e li invitiamo a non rimanere in superficie ma a scavare in profondità; spesso li sentiamo incapaci di immedesimarsi nell’altro e di cogliere la sofferenza del compagno più fragile che hanno offeso.

Così vorremmo riuscire a capire come possiamo noi adulti evitare i rischi dell’educare ed aiutare invece loro, bambini e adolescenti, ad affrontare gli inevitabili rischi della crescita soprattutto nei tempi dell’accelerazione comunicativa e della superficialità culturale in cui spesso e nostro malgrado ci crogioliamo.

Rifiutiamo l’idea di limitarci a censurare o a denunciare l’uso degli strumenti digitali ma, siccome da educatori non possiamo estraniarci dal tempo in cui viviamo, crediamo ancora nella necessità di poterli supportare per crescere come buoni abitanti della loro vita.

Su come riempire questo vuoto empatico il professor Pellai si è soffermato a lungo durante la serata sottolineando l’importanza di uno sguardo adulto capace di riconoscere i bisogni emotivi ed affettivi dei ragazzi. Non può darsi un atto educativo se non c’è la presenza di un adulto che segnala i limiti e il rischio di oltrepassarli, se il nostro sguardo adulto non si pone in sintonia emotiva con loro e non li guarda negli occhi per riconoscerli nel loro intimo, se non c’è la parola autorevole capace di dire e di farsi ascoltare. Ma questo accade solo se decidiamo, come adulti, di stare ben radicati nella vita reale, senza sostituire alle preoccupazioni che i ragazzi ci suscitano le facilitazioni che cercano di edulcorarle, senza rinunciare a intervenire su di loro per segnalare gli errori, per stabilire i confini e aiutarli a percepire il rischio dello sconfinamento.

Soprattutto quando vivono il loro tempo e la loro vita nell’universo online.

Nell’online i figli si nutrono del peggior cibo per la mente che normalizza cose che normali non sono, che non consente loro di attivarsi emotivamente davanti a qualcosa di sbagliato; per questo i ragazzi che vivono molto del loro tempo nella realtà virtuale finiscono per desensibilizzarsi e vivere senza alcuna consapevolezza delle loro azioni perché nel virtuale sembra tutto per finta, anche cose che nella realtà sono veri e propri reati puntiti dalla legge.”

Un altro riferimento importante viene attribuito al valore della “fatica” che oggi non è per niente di moda e spesso è anche contestata quando l’insegnante osa richiederla come applicazione ed impegno per lo studio. Come si fa a insegnare la fatica a un ragazzo in modo che impari ad assumersi la responsabilità dei risultati raggiunti? E’ una prospettiva che spesso ci vede sconfitti come genitori. Pellai utilizza la metafora della montagna per esemplificare come la conquista faticosa della cima è ricca di soddisfazioni quando la si raggiunge grazie ai propri sforzi e al proprio sudore mentre lascia del tutto indifferenti se la vetta viene raggiunta con l’aiuto di una seggiovia. Per questo, di fronte alla tendenza adulta alla semplificazione e alla guida per la navigazione, la scelta dei nostri figli è spesso quella della strada più comoda e più immediata, che evita gli sforzi e l’impegno prolungato, che impedisce l’esperienza del “sacrificio avventuroso” il quale, presidiato dai paletti ben piantati dagli adulti, è invece necessario per crescere e arrivare lontano; nella bellezza e nel desiderio del futuro.

L’emergenza educativa di oggi nasce proprio dal fatto che l’adulto spesso amplia l‘iper-protezione sul piano fisico e mentale ma non si fa carico della responsabilità educativa, aumentando le istanze di dipendenza e non quelle di competenza. Invece è proprio questo l’invito : promuovere la competenza non la sensazione di illimitata potenza o, per contro , la dipendenza e la mancanza di autonomia , fornire loro una cornice che contenga la crescita, utilizzando storie positive e testimonianze in grado di rappresentare per loro le occasioni per mettersi in gioco , offrire le diverse opportunità per diventare quella persona che , come recitano le Indicazioni Nazionali , “è in grado di iniziare ad affrontare in autonomia e con responsabilità, le situazioni di vita tipiche della propria età, riflettendo ed esprimendo la propria personalità in tutte le sue dimensioni.”

Certo non ci sono strade sicure o rassicuranti per arrivarci ma la nostra volontà rimane quella di esserci sempre per confrontarci e camminare con loro, fianco a fianco, incoraggiandoli,  cercando di non sentirci sempre educatori poco adeguati ma con il coraggio di comportarci  anche noi come  donne e uomini veri ,  capaci di accettare l’ardua sfida di stare costantemente accanto a loro per permettere loro di confrontarsi con la propria interiorità ed evolvere nel “miglior se stesso possibile“.

 

Foto di skalekar1992 da Pixabay

Client

prof. Luciana Ferraboschi, Dirigente Scolastica

Date

01 Aprile 2023

Tags

Educare

Area riservata

Newsletter

Inserisci il tuo nome e la tua email per tenerti aggiornato sulle attività della scuola

Search