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261. MAESTRI di VITA. L’uomo del futuro: don Lorenzo Milani (1923-1967)

261. MAESTRI di VITA. L’uomo del futuro: don Lorenzo Milani (1923-1967)

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Ogni «maestro» autentico non smette di interrogare e provocare, anche oltre il tempo che ha vissuto. Così la vita -la VERA SCUOLA- diventa ricerca di ‘nuovi’ maestri, di uomini e donne cioè che ci indichino il senso dell’umano esistere, se Dio c’è dove è, cosa ce ne facciamo della storia che abitiamo.

Con «MAESTRI di VITA» apriamo uno spazio per confrontarci sull’IDEA di Scuola e sulle PRATICHE di Scuola incontrando i ‘maestri’ che ci hanno preceduto.

Se è chiaro per noi che l’identità della nostra Scuola affonda le sue radici nell’esperienza, nello stile e nella pratica educativa di santa Paola Elisabetta Cerioli, questo patrimonio potrà allargare i suoi orizzonti oltre che con l’esperienza quotidiana delle nostre Scuole anche nello scambio con i grandi ‘maestri’ della storia.

 

Don Lorenzo Milani è stato un prete, un maestro ‘educatore’ e scrittore, attivo soprattutto nell’attività didattica rivolta ai bambini più poveri -i contadini del suo tempo- e autore di diversi libri di pedagogia e di spiritualità. Nella sua breve vita -morì infatti a 43 anni- ha lasciato un segno indelebile nella scuola italiana e capace, ancora oggi, di risvegliare coscienze e movimenti educativi. Il 27 maggio è stato l’anniversario centenario della sua nascita, occasione per riscoprire il suo pensiero e dare avvio alle celebrazioni. Per la sua qualità educativa, per la sua scelta di accompagnare con la scuola i bambini poveri dei contadini, per la sua fede, lo sentiamo molto vicino alla nostra fondatrice, santa Paola Elisabetta Cerioli.

 

LA VITA. Nella storia di ciascuno è racchiuso il senso della sua «maturità». Don Milani nacque in una colta e agiata famiglia di Firenze, da madre di origine ebrea (ecco perché la ‘parola’ per lui aveva un posto privilegiato, tanto che arrivò a dire ai suoi studenti: Ogni parola che non impari oggi è un calcio nel culo di domani) e da padre chimico, appassionato di letterature e impegnato ad amministrare i possedimenti e le terre della famiglia. Una famiglia agnostica e di cultura laica fu l’ambiente in cui Lorenzo fu educato con i suoi due fratelli, Adriano ed Elena.

Nella primavera del 1943 accade la scelta radicale di Milani: scelse di convertirsi al cattolicesimo. L’arcivescovo di Firenze lo cresimò nel giugno del 1943 (aveva 20 anni) e pochi mesi dopo entrò in seminario per verificare la sua ‘vocazione’ a diventare prete. Era molto critico verso l’esteriorità della chiesa: secondo lui centrale nella vita cristiana doveva essere una rigorosa ricerca tutta interiore della verità. Il tempo, la guerra e il fascismo, e la consapevolezza di una origine estremamente privilegiata, dalla quale voleva liberarsi, lo portarono ad assumere posizioni radicalmente critiche verso l’ingiustizia sociale e l’autoritarismo. Nel luglio del 1947, terminata la seconda guerra mondiale, divenne sacerdote.

Il suo primo incarico fu quello di cappellano nella parrocchia di San Donato a Calenzano, un paesino tra Prato e Firenze. Qui creò la sua prima scuola popolare: una scuola aperta e gratuita per gli operai e per i contadini. Egli maturò alcune riflessioni fondamentali sulla lingua e sull’insegnamento. Padroneggiare la lingua è lo strumento primo e imprescindibile per qualsiasi lotta indirizzata alla realizzazione dell’uguaglianza e al superamento delle ingiustizie sociali. Comprendere e farsi comprendere è la base dell’emancipazione individuale e collettiva. L’istruzione è dunque uno strumento politico di liberazione e di riscatto.

Le sue posizioni radicali non gli costarono solo critiche, ma addirittura un trasferimento. L’assumere -in occasione delle elezioni amministrative del 1951 e poi delle politiche nel 1953 la posizione della libertà del voto secondo coscienza- fu visto come un atto provocatorio da parte della chiesa: fu costretto quindi ad abbandonare Calenzano, e mandato nell’isolata Barbiana nell’autunno del 1954.

Barbiana -una frazione di Vicchio nel Mugello, paese che a metà degli anni Cinquanta era ancora senza scuola media- era una terra povera alle pendici del Monte Giovi, coltivata da mezzadri, senza strada, senza acqua, senza elettricità. Qui don Milani decise di realizzare una scuola per i giovani del luogo, figli di contadini poveri e con pochi strumenti. Il suo metodo fu assolutamente innovativo e radicale. La scuola impegnava i ragazzi tutto il giorno, tutti i giorni dell’anno. Non c’era la ricreazione, considerata inutile e uno sperpero del tempo. La scuola diventava vita e la vita scuola. Qui don Milani visse la sua vita, finché malato di leucemia, nell’aprile del 1967 si trasferì a Firenze nella casa della madre, dove morì il 26 giugno dello stesso anno. È sepolto a Barbiana.

 

LA SCUOLA e LA PEDAGOGIA. Quel confino di Barbiana, grazie al suo semplice e straordinario carisma, si trasformò per don Milani in una sorprendente esperienza pedagogica ed ecclesiale. Organizzò una scuola destinata ai ragazzi di quella montagna costretti, anche tramite un sistematico sistema di bocciatura, a restare nelle stalle, sulla terra, e a rinunciare agli studi. Nacque così la «scuola di Barbiana»: i ragazzi lo seguirono e con lui costruirono esperienze didattiche eccezionali. Sostenne sempre di non avere un metodo educativo ma, se la si analizza bene, la sua proposta era ricca di dispositivi pedagogici.

Tra questi:

  • il mutuo insegnamento ovvero la propensione a favorire processi di apprendimento basati sulla condivisione: ragazzi più grandi ed esperti affiancano/accompagnano i più piccoli e inesperti, cioè che oggi chiamiamo apprendimento cooperativo;
  • la tecnica della scrittura collettiva; si leggevano i quotidiani, si discutevano e si scriveva insieme il commento. Erano previste conferenze e incontri settimanali con sindacalisti, politici, intellettuali. I primi a porre domande agli intervenuti dovevano essere coloro che avevano il titolo di studio più basso;
  • la lettura quotidiana del giornale, vissuta come una necessità di partecipazione alla vita sociale e politica, per poter non solo conoscere l’attualità, ma anche prendere la parola e per far crescere pensiero critico. Da questa ‘abitudine’ nacque uno dei documenti più interessanti della sua scuola: la Lettera ai giudici contro la guerra e per il diritto all’obiezione di coscienza.
  • la ‘forza’ della lingua, della parola, della comunicazione, del saper scrivere, del saper parlare, dell’avere una competenza linguistica in grado di reggere il confronto e di sviluppare l’autostima dei suoi ragazzi: solo chi sa esprimere può far valore i propri diritti e dare voce agli altri!

L’obiettivo di questo «progetto educativo» era l’emancipazione delle classi povere, un insegnamento volto a compensare quelle differenze di classe che nella scuola pubblica italiana avevano fortemente penalizzato i ragazzi più poveri e provenienti da contesti di disagio. Barbiana era una scuola totale, un impegno volto all’emancipazione a alla realizzazione dell’uguaglianza.

La «scuola di Barbiana» fu feconda anche per lo stesso don Milani che raccolse le sue convinzioni in tre testi che fecero molto discutere, e che riguardavano i centri di interesse della sua vita: la scuola, la chiesa, la società.

La Lettera a una professoressa (1967) è il testo più noto di don Milani. Scritto con i ragazzi di Barbiana nacque in seguito alla bocciatura di due suoi studenti all’esame di stato. È al tempo stesso accusa del sistema scolastico statale italiano, manifesto politico, opera di metodo e innovazione scolastica. Il libro propone, anche attraverso una accurata ricerca quantitativa restituita da grafici e tabelle, una durissima critica alla scuola statale italiana che proprio pochi anni prima aveva introdotto la scuola media unica: secondo don Milani, la scuola, invece di combattere le diseguaglianze sociali, sostenendo gli studenti più bisognosi e in difficoltà, stava amplificando il divario ricchi-poveri, perché premiava e faceva avanzare i figli della borghesia, respingendo i più poveri. Vengono denunciati: il classismo intrinseco all’insegnamento scolastico; l’esacerbazione delle differenze sociali: la scuola promuove i privilegiati – quelli che i ragazzi di Barbiana chiamano “Pierino (figlio) del dottore” – e boccia i “Gianni”, i ragazzi più poveri, provenienti da contesti disagiati, destinati, a suon di bocciature, a non emanciparsi mai e a non migliorare mai le proprie condizioni di vita; l’incapacità della scuola di essere percorso verso l’uguaglianza, il riscatto, l’emancipazione dei poveri.

Il testo propone un rinnovamento della scuola da realizzarsi attraverso tre riforme: non bocciare; il tempo pieno “per quelli che sembrano cretini” (secondo l’espressione contenuta nel testo); uno scopo per coloro che sono “svogliati”.

Il libro influenzò il dibattito sulla scuola e influenzò notevolmente il dibattito pubblico e intellettuale sulla scuola e sui modelli educativi. Famosa la sua sintesi: «non si può fare parti uguali fa dis-uguali». Don Milani scommise sulla possibilità che i suoi alunni, messi nelle condizioni giuste, potessero farcela. La riassumeva nella frase: «dare ai ragazzi uno scopo».

È universalmente ricordata di lui la frase inglese «I CARE», (“mi interessa”, “ho a cuore”, “mi prendo cura”), scritta sul muro d’ingresso della scuola di Barbiana, con cui si ricordano il senso di responsabilità, l’impegno e la dedizione che don Milani investì nel suo progetto educativo, motto che era alternativo all’altro fascista: “Me ne frego!”.

UN LIBRO PER CONOSCERE. Il titolo che abbiamo dato a questo articolo lo abbiamo preso dal libro di Eraldo Affinati, L’uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani, Mondadori, Milano, che può essere letto con piacere perché scritto da un insegnante che rilegge quell’esperienza ricercando “il metodo Barbiana” in tante altre scuole di oggi. Eraldo Affinati -scrittore e insegnante fra i più sensibili ai temi etici, insieme alla moglie ha fondato la Penny Wirton, una scuola gratuita di italiano per immigrati- in questo libro, frutto di indagini e perlustrazioni appassionate, ci racconta non solo la storia dell’uomo con le testimonianze di chi lo frequentò. Affinati cerca l’eredità spirituale di don Lorenzo nelle contrade del pianeta dove alcuni educatori isolati, insieme ai loro alunni, senza sapere chi egli fosse, lo trasfigurano ogni giorno: dai maestri dei villaggi africani ai teppisti berlinesi; dagli adolescenti arabi alle suore di Pechino e Benares, fino ai preti romani che sembravano aver dimenticato, per fortuna non tutti, la severa lezione impartita dal priore. Affinati sostiene che per distinguere il buono dal cattivo maestro, basta vedere negli occhi dei suoi scolari: se brillano oppure restano spenti!

 

CONCLUSIONE. Per tutti noi che ci occupiamo di educazione e di scuola la testimonianza di don Lorenzo, anche se i tempi sono molto cambiati, egli continua ad interpellarci e a provarci ancora oggi sulla idea di scuola e sullo stile educativo che adottiamo. Dobbiamo riconoscere a lui soprattutto il merito della sua passione educativa e didattica e di aver fatto maturare la consapevolezza che è facilissimo creare -volontariamente o involontariamente- situazioni di esclusione nella scuola e nella società. Le sue pratiche scolastiche e la sua denuncia restano validissime, fanno parte di quella storia della pedagogia che, da Rousseau, passando per Pestalozzi e Maria Montessori e arrivando alla nostra Cerioli, ha dato a tante generazioni la possibilità di riscattarsi e di tirar fuori tutte le proprie risorse, il meglio di sé.

Tutto ciò che don Lorenzo è stato ce lo ricorda la madre Alice Weiss, tre anni dopo la morte del figlio, nella prima intervista del 1970; la madre che conosceva bene il figlio, che l’amava e le confidava sempre tutto, anche nei momenti più difficili del suo ministero, lei, ebrea e agnostica, sempre molto riservata su ciò che riguardava suo figlio, rispose: «Voglio che Lorenzo sia conosciuto meglio. Che si dica della sua allegrezza. […] il resto non tocca a me. Tocca semmai alla Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire, ma che gli ha dato anche il sacerdozio e la forza di quella fede che resta per me il mistero più profondo di mio figlio».

 

APPUNTI PER UN VIAGGIO

(a cura di F. Ruozzi/ A. Canfora), Don Milani. TUTTE LE OPERE. Mondadori, Milano 2017.

Discorso di papa Francesco sulla figura di don Lorenzo Milani (martedì 20 giugno 2017):

www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/june/documents/papa-francesco_20170620_don-lorenzo-milani.html

 

don Lorenzo Milani: gli interventi di Sergio Mattarella, Rosy Bindi e del cardinale Matteo Maria Zuppi (sabato 27 maggio 2023):

www.radiomugello.it/cronaca/don-milani-i-testi-degli-interventi-di-mattarella-bindi-e-del-cardinale-zuppi

 

M. Pappalardo, Cara Scuola ti scrivo… L’attualità di lettera a una professoressa, San Paolo, Milano 2022

Client

di Antonio Consonni, Dirigente educativo

Date

03 Giugno 2023

Tags

Educare

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