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314. FORMAZIONE. «La scuola che vorrei. La scuola che verrà». Intervista a Daniele Novara

314. FORMAZIONE. «La scuola che vorrei. La scuola che verrà». Intervista a Daniele Novara

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Confrontarsi serve per crescere. Confrontarsi con Daniele Novara pedagogista, counselor e formatore diventa sempre un’occasione di stimolo e di sguardo diverso. Con questa intervista fatta da RICCARDO MAGGIOLO su HUFFINGTON POST del 18/11/2023 ci propone la sua lettura su alcuni aspetti della scuola italiana.

 

Professor Novara, si dice spesso che mentre il mondo evolve la scuola rimane la stessa... Semmai è peggiorata. Quando cominciai a fare questo lavoro, negli anni ’70, si compirono due innovazioni straordinarie: l’apertura delle scuole alla comunità, ai genitori e agli studenti anche dal punto di vista gestionale, e l’abolizione delle classi differenziate, integrando gli studenti con problemi nelle classi. Due vere rivoluzioni che facevano di quella italiana una scuola all’avanguardia a livello mondiale. Oggi invece le istituzioni sono diventate auto-referenziali, i genitori e persino gli studenti spesso non vengono visti di buon occhio e tenuti, quando possibile, lontani dalla gestione della scuola, mentre invece i ragazzi vengono allo stesso tempo sovra-diagnosticati con disturbi e trascurati.

Si parla molto di scuola, ma poi sembra ci sia una resistenza a ripensarla. C’è quello che io chiamo “ritornismo”: il tentativo, piuttosto goffo a dire il meno, di tornare a una scuola tradizionale, dimenticando appunto che la scuola di una volta era molto innovativa. La Gelmini per esempio ha reintrodotto i voti numerici nella scuola primaria, che erano stati eliminati nel 1970, in totale controtendenza europea. Oggi il ministro Valditara caldeggia il ritorno del voto in condotta, e una sua sottosegretaria ha detto che vogliono anche loro puntare sui voti numerici, dopo che la ministra Azzolina li aveva tolti di nuovo.

Ma una scuola senza voti è possibile? Certamente. Guardi: i voti numerici sono una di quelle cose che sembrano connaturate nella scuola ma di cui in realtà non si conosce nemmeno l’origine, quando sono nati e perché. Rimangono comunque una stupidaggine, perché non “parlano”: non dicono nulla del percorso che hai fatto o che potrai fare per migliorare; non misurano i progressi ma cristallizzano una prestazione. Insomma, la scuola è piena di pratiche inerziali, che spesso poco o nulla hanno a che fare con la pedagogia.

Perché questo è accaduto? Ci sono tanti fattori. Bisogna dire anzitutto che la pedagogia italiana, per quanto di grande qualità, soprattutto in passato è stata molto teorica, con un approccio quasi filosofico – basti pensare che la più grande pedagogista italiana, Maria Montessori, dovette andarsene perché le dicevano che faceva “i lavoretti”. Questo ha allontanato la pedagogia dalla pratica e dalle persone. Oggi le cose sono cambiate, eppure rimane molta diffidenza. Più tra le istituzioni, a dire il vero, che tra la gente. Oggi se lei va al Ministero dell’istruzione non incontrerà pedagogisti, ma informatici, statistici, economisti… Molto raramente quelli che si occupano della scienza della scuola.

Si parla però moltissimo di disagio tra i giovani e della necessità di intervenire sul loro benessere psicologico. Infatti adesso abbiamo un’ondata di psicoterapeuti. Che va benissimo, fanno il loro mestiere, ma c’è anche da dire che si sta alimentando il ricorso alla neuro-diagnosi; alla medicalizzazione del percorso formativo. Oggi quando c’è un bambino “difficile” l’insegnante non cerca di affrontare il tema in termini pedagogici ma lo fa in termini medici, alla ricerca di un’etichetta, di una diagnosi. Tanto che oramai il numero di bambini diagnosticati con disturbi è tale che un insegnante su quattro, quasi su tre, è un insegnante di sostegno – peraltro spesso non formato specificatamente. Si potrebbe quasi dire che stanno tornando le classi differenziate: proprio quelle che con lungimiranza avevamo abolito oramai cinquant’anni fa.

Ma allora i bambini e ragazzi hanno più problemi di un tempo o no? Non saprei dire se ne hanno di più o di meno: posso dire che li hanno perché è perfettamente normale che li abbiano. Nell’infanzia per esempio risulta fondamentale correre, muoversi, esplorare, socializzare, e questo vuol dire anche correre il rischio di farsi male. Nell’adolescenza, invece, si attraversa un periodo di distacco dal nido parentale e si cerca il conflitto con i genitori, diventando sgradevoli e cercando anche lo scontro, e questo porta anche a sofferenza. Ma, di nuovo, è tutto perfettamente normale: il bambino che sta fermo sulla sedia o l’adolescente che è gradevole e ordinato non esistono – o se esistono dovrebbero forse persino far preoccupare.

Ma la tecnologia, gli smartphone, i nuovi media, non hanno  avuto un impatto. Certamente lo hanno avuto e lo hanno, ma non credo nel modo in cui si pensa. Per esempio a me preoccupa molto l’effetto che sta producendo l’introduzione massiccia di strumenti digitali nella scuola. Non per gli strumenti in sé, che è bene vengano utilizzati e conosciuti, ma perché tendono ad eliminare apprendimenti fondamentali come quelli della scrittura a mano, oppure il rapporto dialettico fra alunni. Così i bambini non vivono più la scuola come un’esperienza di confronto sociale e di esplorazione, e quindi come possiamo pensare che apprendano davvero?

E fuori da scuola, invece, com’è cambiata la vita infantile? La vita dei bambini oggi non è più davvero infantile. Sono sempre più sedentari, hanno meno occasioni di socializzazione tra pari, di sviluppare le capacità manuali… Una volta i bimbi erano sempre fuori, in strada, in oratorio o nei campi, e giocavano insieme; andavano solo quattro ore al giorno a scuola e i compiti a casa erano pochissimi. Oggi sono iper-protetti, iper-certificati, iper-stimolati, e questo porta a una contrazione sia sociale che emotiva. Per dire, oggi non lasciamo giocare i bambini con i soldatini, oppure impediamo loro di arrampicarsi sugli alberi: ma allora come fa un bambino a scaricare l’aggressività o a sviluppare la sua intelligenza motoria?

Abbiamo un problema di genitorialità? Direi piuttosto che i genitori hanno un problema. Vede, il fatto è che viviamo in un’epoca che ha abolito quasi ogni forma di autorità – e direi anche di autorevolezza. Una volta i genitori erano meno avvicinabili, si tenevano a una giusta distanza: nessun padre o madre si sognava di diventare amico del proprio figlio o figlia. Oggi invece sono troppo confidenziali e disponibili, e allora quando devono imporsi non hanno autorità, e finiscono per esempio per urlare. Questo non indebolisce tanto o solo i figli, quanto i genitori, che si mettono sempre più in dubbio, si sentono fragili. Ciò ha ripercussioni nei rapporti familiari: aumentano i divorzi, soprattutto nelle coppie con figli, e a volte proprio per compensare quasi ci si “fidanza” con questi ultimi.

Cosa dovremmo fare? Ai genitori dovremmo fornire più conoscenze pedagogiche. Alla nascita di un bambino, per esempio, oltre a volantini e brochure sull’allattamento e sulle malattie infantili dovremmo fornirne anche altri sulle fasi evolutive. Poi dovremmo anche creare canali di informazione e consultazione accessibili e diffusi per rispondere ai dubbi dei genitori, evitando così che si rivolgano a Google o, peggio ancora, alle mamme influencer. Ci vorrebbe, così come il pediatra, un consulente educativo per ogni famiglia. Questa sarebbe una vera rivoluzione educativa!

E per quanto riguarda la scuola? Ci sarebbero tante cose da fare! Rendere obbligatoria la scuola materna. Eliminare la valutazione numerica e introdurre la valutazione narrativa. Eliminare il registro elettronico, che rompe il rapporto di fiducia genitore-figlio e che non lascia al giovane il suo spazio di riservatezza e responsabilità. Far lavorare gli insegnanti di più insieme, in co-docenza, uscendo dallo specialismo di materia. Introdurre occasioni continue di dialettica e confronto, per imparare anche a gestire il conflitto interpersonale e impedire che diventi conflitto interno. Ma soprattutto direi portare i pedagogisti a scuola: per rafforzare lo specifico scientifico della comunità scolastica.

Client

RICCARDO MAGGIOLO su HUFFINGTON POST del 18/11/2023

Date

02 Dicembre 2023

Tags

Educare

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