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328.FORMAZIONE. Le carezze emotive che migliorano l’apprendimento

328.FORMAZIONE. Le carezze emotive che migliorano l’apprendimento

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Nel suo ultimo libro (“Se sbagli non fa niente“, De Agostini , 2023) Daniela Lucangeli torna a occuparsi di emozioni o, come precisa lei stessa, delle “carezze emotive“ che, a qualsiasi età, aiutano le persone ad apprendere.

A partire dalla convinzione, confermata dagli studi neuroscientifici, che ad ogni attività cognitiva corrisponde un tracciato emozionale e che quindi “il nostro cervello, mentre pensa, sente anche” (2021), l’Autrice ribadisce come, ai fini del successo formativo nell'ambito dell'educazione e dell'apprendimento, non sia più possibile sottovalutare l'importanza di questi fattori.

Le conoscenze che gli studenti via via acquisiscono attraverso le esperienze dentro o fuori la scuola, determinano infatti in loro, (ma continua a succedere lo stesso anche agli adulti), reazioni immediate che non si basano su processi cognitivi consapevoli ma che vengono interiorizzate in stretta connessione con lo stato emotivo che hanno suscitato favorendo la creazione di memorie durature. Così se “mentre impariamo sentiamo paura, ansia e senso di disistima, assieme a quello che studiamo la nostra memoria immagazzina anche la paura e la disistima”, emozioni che continueranno a riemergere ogni volta che ci troveremo ad affrontare situazioni simili.

Ecco perciò la necessità di coinvolgere gli studenti in esperienze orientate al coinvolgimento emotivo e motivazionale proiettate su compiti autentici basati sulla curiosità e l’interesse ad apprendere, di organizzare situazioni capaci di promuovere il piacere per le nuove conoscenze sviluppando la soddisfazione della loro conquista. Questo non vuol dire affatto , come qualcuno sta già pensando, che il percorso di approccio ai saperi deve risultare facile ed edulcorato; a partire dalla considerazione secondo cui la sfida all’uso della propria intelligenza promuove un alto livello di  motivazione oltre che il benessere e il coinvolgimento emotivo, credo che vada incentivato l’utilizzo del problem solving che attiva l’uso delle proprie risorse cognitive evitando invece tutte le situazioni di passività cognitiva o di noia scolastica che spesso determinano negli studenti la fuga dagli apprendimenti . Dice Lucangeli che la noia sta al polo opposto della curiosità e viene definita come “un profondo senso di insoddisfazione e insofferenza” dovuto al livello di stimolazione che viene percepito dallo studente come del tutto insufficiente.

La motivazione, al contrario, è considerata il motore che spinge gli studenti verso il raggiungimento del risultato atteso. Può provenire da fattori interni a sé, suscitati dagli interessi personali per le conoscenze presentate, ma può anche essere attivata costruendo nel contesto le situazioni capaci di stimolare la curiosità e il desiderio degli alunni di mettersi in gioco. Una motivazione capace di agganciare l’alunno è infatti fondamentale per superare le sfide cognitive e persistere nel compito di apprendimento, soprattutto di fronte alle difficoltà anche se, oggi, dobbiamo prendere atto che riuscire a motivare i propri studenti, specie in età adolescenziale, rimane per i docenti la sfida più grande.

Ma a chi spetta in classe motivare gli studenti ai saperi scolastici?

Elementi strettamente connessi alle emozioni come la motivazione, l'autostima, l'autoefficacia e la corretta attribuzione delle cause dei propri successi e insuccessi giocano un ruolo cruciale nel determinare il successo formativo.

L'autostima fa riferimento al modo in cui uno studente percepisce se stesso e influisce profondamente tanto sul suo approccio al sapere quanto sulle relazioni con i pari. Il fatto di sentirsi efficiente in aula e/o ricercato dai compagni restituisce alla persona un’immagine positiva del sé reale capace di aumentare la sicurezza e la fiducia in sé stessi. Mentre un buon livello di autostima aumenta la resilienza nel superamento degli ostacoli e delle difficoltà, una bassa autostima conduce quasi sempre a situazioni di evitamento del compito per paura di dover far fronte al fallimento e alla successiva frustrazione. “Io non sono capace” dice spesso l’alunno che, dopo aver sperimentato diverse situazioni di insuccesso (scolastiche ma anche relazionali o sociali), ha maturato un’immagine di sé che risulta essere ben lontana da ciò che vorrebbe essere. In questo caso le implicazioni e le risonanze sul piano emotivo ed affettivo risultano spesso devastanti e determinano il progressivo allontanamento della persona dal dolore del sentirsi fallita. Molti sono gli alunni che entrano in questo circolo vizioso di un’impotenza che hanno appreso vivendo plurime situazioni di insuccesso; la conseguenza più probabile che solitamente viene a determinarsi in uno studente avvilito è il progressivo abbassamento delle richieste a se stesso con la conseguente regressione delle proprie prestazioni oppure la ricerca di altre modalità, spesso eclatanti, per spostare l’attenzione su altri aspetti di sé che possano riportarlo in auge. È così che vediamo spesso molti alunni attivare comportamenti disfunzionali (provocazioni, sfide attraverso il linguaggio o azioni esagerate spesso anche rischiose) che hanno tutte lo scopo di recuperare l’attenzione dei compagni e degli adulti di riferimento.

Anche la capacità di attribuire correttamente le cause dei propri successi e insuccessi gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo della consapevolezza di sé. Gli studenti che legano i propri successi a fattori interni a sé, come l’impegno personale e l’uso delle proprie abilità, tendono ad avere solitamente un approccio più proattivo verso il sapere. Convinti che il successo del proprio apprendimento dipende da sé, sanno valutare in anticipo come potrebbe andare a finire in relazione alla qualità e alla quantità dell’impegno profuso e non temono l’eventuale insuccesso che sanno di poter gestire aumentando lo sforzo cognitivo. Se, al contrario, per affrontare un compito l’alunno spera ogni volta nell’aiuto dei compagni, nella benevolenza dell’insegnante o, peggio ancora, si affida al caso o alla fortuna l’insuccesso non può che diventare la probabile risposta.

Ecco perché il suggerimento della Lucangeli a genitori e a insegnanti del ricorso alle “carezze emotive” non significa assumere l’atteggiamento condiscendente e  buonista che non mette mai in discussione gli alunni. Educatori e genitori hanno invece la grande responsabilità e il compito di nutrire gli aspetti emotivo-affettivi per lasciare tracce positive nelle memorie dei ragazzi, promuovendo un ambiente educativo in cui gli studenti possono non solo acquisire conoscenze, ma anche sviluppare una sana comprensione di sé e delle proprie capacità. In tal modo, essi si preparano ad affrontare positivamente il percorso accademico dei prossimi anni ma sviluppano anche un approccio di apertura alla vita e alle nuove conoscenze che punta alla realizzazione e al benessere personale e sociale.

Client

prof.ssa Luciana Ferraboschi

Date

14 Gennaio 2024

Tags

Percorsi

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